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Festa e cattiverie
16/06/2004

Il 21 giugno, che è anche il solstizio d'estate, ci troviamo dalle 19 in poi da Esterefatta, un locale in via Rosolino Pilo 16, a Milano. Per una festa. Nell'occasione, pubblico in esclusiva un brano di Tommy Cappellini sul tema della cattiveria.

Un vantaggio (economico, di bellezza fisica, di storia famigliare) + il sottile narciso piacere di lasciarsi andare all’incomunicabilità + una certa prontezza predatoria resa ancora più acuta dalla gratuità dell’impresa, dalla sazietà compiaciuta. Mi si è chiesto cos’è la cattiveria: eccola.
Per essere cattivi bisogna avere la pancia piena, innanzitutto: i poveri non sono cattivi per lo stesso motivo per cui i mariti non sono gelosi, sono soltanto cornuti. Se volete essere cattivi – cosa che ha un suo ritorno mediatico – dovete procurarvi, oltre ai soldi, anche la camicia dell’ironia, il papillon del sorriso, se non l’avete di natura annodatevene uno posticcio; altrimenti passerete subito per un Hitler, cioè per uno che non era cattivo affatto, era solo incalcolabile nel suo disgusto per se stesso e per l’umanità. Ma i paragoni oggi funzionano male, o meglio sono fuori sincrono: per beccarsi dell’Hitler ci vuol poco. Quindi, Smile, please, soprattutto mentre alzate il coltello. E assicuratevi che la troupe sia nelle vicinanze.
Una volta fatto questo, mettetevi bene in testa che un cattivo non incenerisce il nemico (vedi sopra), di cui devono rimanere bene in vista brandelli di corpo e di spirito, ma lo uccide. Questo sì. Il solito esempio: perché non esiste cattiveria tra gli animali? Perché basta che uno dei due combattenti mostri la gola – segno di sottomissione – e viene lasciato in vita. Scordatevelo. Soprattutto se frequentate le cosiddette feste milanesi. (Non lo sapevate, vittime? La sottomissione non salva più, vi vengono a cercare: per farvi uomini, così dicono, con questa famosa terapia d’urto della cattiveria – della democrazia).
Il prodotto ultimo della vostra cattiveria – continuiamo col nostro manualetto – dovrà essere o un cadavere che tutti possono ammirare, e sopra di esso, la vostra firma, o meglio ancora uno zombie: un morto vivente cui avrete affettato l’anima con le vostre parole – voi siete dei maestri di parole, non dimenticatelo. Uno zombie che in giro per il mondo testimonierà quanto siete stati cattivi. Per questo la vittima non dovrete sceglierla troppo intelligente: finirebbe per metabolizzare la vostra cattiveria, cacarla via. Serve invece un residuo umano che porti testimonianza. Agli astanti (che nel frattempo avranno fatto le loro scommesse), rivolgere la scusa: non volevo. Sì, perché il cattivo alla fine deve chiedere scusa. Una volta non era così, ma oggi, il cattivo, dopo il massacro, dev’essere pronto ad agghindarsi coi panni della vittima: labbra corrucciate, occhi pieni di lacrime, interesse umanitario, pietà per se stessi e per il mondo in fame. Guardate cosa ho dovuto fare – signori presenti, guardate questo bagno di sangue (anche solo psichico) cui sono stato costretto. Una necessaria terapia d’urto, signori della giuria. Qualcuno doveva fare questo sporco lavoro.
Pensandoci, non c’è come la cattiveria per alimentare l’Ego occiduo, soprattuto se spettacolarrizzata ben bene. Gli scrittori in erba ne facciano tesoro, e anche quelli non in pace con se stessi. Altro che Hölderlin. Facciamo un passo nella definizione della cattiveria: potrebbe essere quasi sempre generata da tormento interiore, da insoddisfazione: quel genere che induce a ingozzarsi di cibo. Cattiveria, bulimia. Cattivo, captivitatis, essere prigionieri: potete sempre dare la colpa alla società: signori presenti, guardate quanto papi mi ha sculacciato, guardate il mio sangue infetto. Leggete il mio libro. Non c’è che dire, costretti a essere cattivi dentro, mentre fuori svolazza la camicia bianca maculata di firme e denaro: frequentate la feste milanesi, frequentate questo corto circuito.
A proposito: per intercettare la cattiveria, invece, per metterla alla prova, subirla, farci sopra un breve studio, basta invece essere timidi, provinciali dentro, vestiti male, balbuzienti, poveri meglio se indebitati e violentati, finto ingenui (un po’ come l’ispettore Colombo: bisogna tendere la trappola, sempre che si sia abbastanza forti), e subito essa – la piccola cattiveria – uscirà allo scoperto, estasiata da tanta offerta. Già odo le grida, e il pianto finale. E il solito ambiguo triste articolo. Eccolo qui.