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Teste di Plastica
30/06/2010

Il 30 giugno un cosiddetto storico locale notturno di Milano, il Plastic, dovrebbe chiudere, per non più riaprire, o per riaprire in altra sede. Quella attuale è in viale Umbria. E’ possibile che assistiamo a qualche coro di prefiche che grideranno allo scandalo, con formule usurate tipo: “Un altro pezzo della Milano più autentica che se ne va” e cose simili. Niente di più ipocrita. Il Plastic è stato in effetti una discoteca molto di moda negli anni Ottanta. Copiando la formula newyorchese dello Studio 54, creava serate evento riuscendo a far presenziare personaggi e artisti di fama internazionale come Keith Haring , Andy Warhol, Freddy Mercury e così via. La maggior parte di loro oggi non è più in vita. Nel frattempo, il Plastic è vissuto di rendita su quegli antichi, chiamiamoli così, allori, mentre i suoi gestori ce la mettevano tutta per far credere che si trattasse di una specie di Tempio della Trasgressione. Hanno aperto allo stile transgender. Grande spazio all’ambiguità sessuale e al travestimento, una bella carnevalata che è andata avanti tra alti e bassi per anni, infischiandosi delle norme rigorose che regolano la sicurezza e l’ordine pubblico dentro e fuori dei locali notturni. E la musica? Dovrebbe essere trendy, di tendenza, all’avanguardia, e invece copia mode e stili che in altri paesi sono già considerati stantii. Derivativa, insomma, un’altra qualità da provincialotti, da “wannabee’s”. In pratica, questi furbacchioni hanno finora fatto i comodi loro, continuando a speculare sulla pelle dei boccaloni che ci andavano e pagavano salate entrata e consumazioni, pur di sentirsi parte del così chiamato popolo della notte. Una messinscena che ha varcato la soglia del patetismo e della maleducazione, e forse anche del codice civile e penale, soprattutto in questi ultimi mesi. Ebbene sì, sono andato a ficcarci il naso perché troppe cose non mi convincevano. Tanto per cominciare, io sono allergico alle onoreficenze e il fatto che al proprietario di questa baracca di tre stanze, tale Lucio Nisi, il Comune di Milano abbia conferito l’Ambrogino d’oro mi ha fatto storcere il naso. Ma come, un premio alla cultura civile assegnato a un tipo che non rispetta le norme di sicurezza, al quale è stata più volta imposta la chiusura per rissa e presunto traffico di stupefacenti all’interno del locale, un trafficante di specchietti per allodole? E poi c’è un argomento che da solo basterebbe a squalificare l’intera operazione: quello della selezione all’ingresso. La pratica di mettere degli scagnozzi alla porta per decidere chi possa o no accedere a un locale, è un’usanza incivile, deleteria e fondata su una profonda stupidità. Nisi l’ha difesa spesso sostenendo che la possibilità di essere esclusi aumenta nei clienti “L’appetito”. Come dire: se io mi metto in fila fuori da un locale alle due di notte e dopo un’ora un servo con un cervello da criceto mi manda via in base a criteri estetici imperscrutabili, a me dovrebbe venire ancora più voglia di tornarci, in quel locale. M’inquieta il fatto che su alcuni forse il meccanismo funziona davvero. L’esclusione brucia al punto che l’autostima ne è intaccata. Per ripristinarla, si è disposti anche all’umiliazione di mettersi in fila un’altra volta e un’altra ancora, a rischio di essere trattati come dei paria. Questo l’ho visto coi miei occhi. Ho provato pena per quei ragazzi che, non apparendo abbastanza “tragressivi”, per esempio non avendo un atteggiamento abbastanza gay, o non indossando i fottuti vestiti “giusti”, sono stati respinti da un paio di cialtroni maleducati che io non assumerei neanche per tagliarmi l’erba in giardino (del resto non stiamo parlando di gente che trovi onorevole svolgere un qualunque lavoro socialmente utile, ma solo di cretini presuntuosi). Ho cercato questo Lucio Nisi per intervistarlo e chiedergli lumi a proposito del suo locale che chiuderà e di come si possa difendere un atteggiamento di chiara discriminazione, anche di fronte alla legge. Lui ovviamente si è fatto negare. Ci sono piccoli personaggi che vivono come parassiti ai bordi del mondo del sedicente divertimento notturno, e che si prestano a fare da utili idioti per giustificare questo genere di manovre. Hanno tutti il loro tornaconto. Si prestano a fare da cassa di risonanza e ad avallare un ineffabile prestigio del locale, pur di mettere le mani sulla loro fettina di torta. Uno scrive guide compiacenti al “divertimento notturno”, un altro procura la gente di richiamo (una serie di esibizionisti intriganti sempre pronti a esporsi in pubblico), altri scrivono sui giornali lamentando la grave perdita di questa fetta di storia di Milano. Neanche chiudesse il Poldi Pezzoli o la biblioteca Braidense. Un affarismo squallido praticato sulla pelle di poveri giovanotti ignoranti, disposti a farsi spennare in cambio dell’illusione di frequentare un giro “giusto”. Alla faccia di chi studia o lavora o cerca un lavoro serio. Alla faccia delle famiglie che perdono contatto con figli risucchiati dal culto delle apparenze. In generale, le discoteche più “in” di Milano sono dei posti atroci. Il Plastic, con la sua presunzione di essere diversa, non si salva neanche un po’. E’ decaduto a un posto per sciampisti frustrati, per balordi, per ignoranti in cerca di un facile riscatto. Alla faccia del divertimento. E’ il tramonto della creatività, il requiem dell’estro personale, l’apoteosi del conformismo e del provincialismo. Una volgare macchina da soldi, con i gestori abbarbicati ai loro privilegi ingiusti. Una presa in giro. Celebro la chiusura del Plastic e di tutto quello che rappresenta. Spero non riaprirà mai più.