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Mi ritiro in buon ordine
19/10/2007

Un pezzo che ho scritto per "Il Giornale" di giovedì 18 ottobre.

In questo articolo troverete pochi cognomi, ma anche molti nomi è probabile che siano falsi. Perché alla maggioranza dei giovani freschi di studi a cui ho chiesto che cosa sapessero di Caporetto non veniva in mente un granché. E alla fine, chissà perché, la reticenza riguardava anche le loro identità. In effetti la disfatta la subisce però anche il sistema scolastico, se dobbiamo prestar fede al nostro piccolo campione.
Decido di agire a bruciapelo, con una tattica mordi e fuggi, quasi da guerriglia, se mi si perdona il termine. Attacco una scuola di musica moderna, a Milano, zona Washington, dove la componente giovanile è eterogenea. Anna, 15 anni, prima superiore in un Istituto tecnico, dice: “Non me lo ricordo più. L’ho studiato l’anno scorso, in terza media, ma adesso siamo concentrati su altre cose, tipo i romani. Antichi.” Ineccepibile, non ci può essere spazio per tutto, in una sola testa.
Silvia, 22 anni, maturata al Liceo Classico e già al quinto anno di Psicologia, sostiene trattarsi di “un episodio della Seconda guerra mondiale”. Che ne direbbe Freud? Lapsus o rimozione? Fabio, 27 anni, liceo scientifico e laurea in scienze dell’Informazione, sostiene con fierezza: “Mi ricordo che c’è. Ma io in storia ho sempre avuto quattro, sono più bravo in matematica, chiedimi le equazioni differenziali.” Non posso, ne so come lui di Caporetto.
Programmo un affondo telefonico direttamente sul territorio. Chiamo Sara, 24 anni, di Belluno, liceo linguistico e poi Lingue anche all’università. “Non mi ricordo se era la Prima o la Seconda guerra mondiale”. Sì, ma i fiumi, l’Isonzo, il Piave, il Tagliamento, ci siamo anche stati insieme. Il Carso. “Oops. Hai ragione.” Per un attimo temo si sia anche dimenticata di me.
Vediamo se la scuola privata giustifica le rette. Mi apposto fuori dal Leone XIII, tempio di solidità psico-fisico-intellettuale. Un gruppo di sette fra ragazzi e ragazze, sono di quarta Scientifico, hanno 17 anni o giù di lì. “Prima guerra mondiale, disfatta sul Carso, il confine si sposta sul Piave,” snocciola Giuseppe Bonaiti. Risulta che in cinque lo sapevano. Sono ricordi delle medie, adesso stanno studiando Luigi Quattordici. L’onore della scuola è salvo.
Vediamo se la scuola pubblica è in grado di rimontare. Fermo tre studenti della seconda liceo classico Beccaria. Gabriele Galli, 17 anni, risponde con precisione e piglio sicuro. Le due coetanee in sua compagnia lo ascoltano come a cercare suggerimenti, e poi ammettono che al di là della parola “disfatta” le associazioni mentali si fanno labili.
Ai ragazzini della terza media bisogna aspettare a chiederlo a maggio, perché il programma non lo prevede fino ad allora. Me lo spiega Daniela Cuono, professoressa di Lettere e Storia proprio alle medie (scuola pubblica). “Ma non illuderti,” mi fa. “Noi glielo spieghiamo e dopo l’estate se lo sono già dimenticato. Probabilmente la storia non è amata neanche dagli insegnanti. E lo schema di apprendimento è a cipolla: le nozioni vengono via come la buccia”. Infatti mi vengono le lacrime agli occhi. Tento qualche altra verifica: Lara, 15 anni, terza liceo classico Manzoni, mi dà una risposta impeccabile. Possibile? “Ma è perché l’anno scorso l’hanno chiesto a tutta la classe. Nessuno lo sapeva e così siamo andati a ristudiarcelo”. Un caso fortunato, insomma. Fuori da una palestra di gran moda cerco l’ultima prova campione. “Caporetto?” mi fa un ventenne universitario, lustro di unguenti e pomate. “Quella della Roma contro il Manchester. Questa primavera. Sette a uno. Doppiette di Carrick e Cristiano Ronaldo.” Mi ritiro in buon ordine.