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Intervista a un enfant prodige
19/05/2007

Pubblico qui di seguito un estratto dell'articolo apparso su "Il Giornale" venerdì 18 maggio, giorno in cui Adam Bly ha parlato alla Fiera dell'editoria scientifica di Trieste.

 
Adam Bly è un enfant prodige (è nato nel 1981) di origine canadese. Bly è entrato appena sedicenne nel Consiglio nazionale delle ricerche del Canada, occupandosi di biologia cellulare e della sperimentazione nella lotta al cancro Poi ha lasciato la ricerca e adesso, a soli ventisei anni, è alla guida della più importante rivista di divulgazione scientifica nel mondo anglosassone: Seed. Per questo ha ottenuto alti riconoscimenti, sia da primo ministro canadese Jean Chretien, sia dalla regina Elisabetta d’Inghilterra che lo ha premiato con la medaglia del Giubileo d’oro. Ora Seed è un gruppo editoriale con sede a New York, che si muove su diversi piani: Internet, carta, video. Abbiamo parlato con Adam Bly alla vigilia del suo arrivo in Italia, per capire quale può essere la concezione della divulgazione scientifica in un mondo sottoposto a sfide impegnative e globali piuttosto terrificanti. Per prima cosa gli abbiamo chiesto perché abbia abbandonato la ricerca per dedicarsi alla divulgazione della scienza. “La scienza di laboratorio è sempre stata la mia passione,” dice. “Però a un certo punto ho cominciato a interrogarmi sul rapporto tra la scienza e la società. Negli ultimi 25 anni la scienza si è evoluta e anche i media sono cambiati, ma non i media che parlano di scienza. La nostra è un’organizzazione pionieristica che si è proposta di essere innovativa in questa direzione”.
Lei ritiene che nel mondo Occidentale la gente comune si componga di “analfabeti scientifici”?
“In parte sì, ma il livello di interesse verso i temi scientifici è in continuo aumento. Si tratta di compiere un salto di qualità”.
I suoi detrattori sotengono che Seed sia un tentativo di far apparire la scienza come qualcosa di brillante e alla moda, a scopi pubblicitari.
“Be’, noi non cerchiamo di volgarizzare i temi scientifici. Semmai di spiegarli in modo comprensibile. E poi la scienza ‘è’ brillante per sua natura. Si tratta di catturare il senso e la bellezza già contenuti ini ogni idea scientifica”.
 Pare che nel 2015 il 90 per cento degli scienziati del mondo risiederà in Cina o in India. Lei ha dedicato l’ultima copertina di Seed all’evoluzione delle scoperte scientifiche in Cina. Che ne pensa?
 “La Cina ha già un’influenza significativa nella cultura scientifica mondiale. Noi siamo la prima rivista del nostro settore che ha un corrispondente fisso a Shanghai. Più che il numero degli scienziati, è interessante che in Cina la comunità scientifica si stia evolvendo rapidamente in campi come la cosmologia, la fisica teorica, la genetica. Ed è interessante anche il loro modo di pensare, la loro prospettiva ‘orientale’ delle questioni”.
Lei è un ottimista. Parla di un nuovo Rinascimento scientifico. Che ne pensa dei catastrofisti?
“Proprio le sfide globali ci porteranno ad alzare il livello delle nostre competenze. Scienza e tecnologia sono in grado per esempio di affrontare e anche di risolvere problemi ecologici e ambientali che affliggono l’Africa. Bisogna lavorare allo sviluppo di infrastrutture scientifiche a lungo termine in grado di generare le proprie soluzioni. Questo richiede un salto in avanti  negli investimenti”.
A Trieste lei parlerà della comunicazione scientifica all’epoca di Internet. Quali sono i vantaggi e gli svantaggi della Rete, a questo proposito?
“Non dimentichiamo che Internet è nato dentro la comunità degli scienziati, è un suo prodotto, creato proprio per scambiare informazioni in tempo reale. E’ utile anche perché consente una trasparenza tra il lavoro degli scienziati e il pubblico generalista. E poi è veloce. I limiti sono legati a due aspetti: la sicurezza delle informazioni e la difesa della proprietà intellettuale”.