Chiedo scusa a tutti. So che sono pigro e che non rinnovo questo sito con la tempestività media ormai richiesta dal mezzo di comunicazione Internet. Sono lento. Sono indietro. Qui di seguito trovate la recensione al romanzo "La scuola dei disoccupati", già uscita sul Giornale di venerdì 13 aprile 2007.
Immaginatevi un futuro neanche tanto lontano, il 2016, e immaginatevi una nazione come la Germania. Cercate di figurarvi una situazione sociale per cui ci siano almeno dieci milioni di disoccupati. E adesso pensate a un istituto, che si chiami Sphericon, somigliante a un campo di lavoro o di concentramento. Pensate che serva a formare non una forza lavoro, ma un piccolo esercito di candidati a un posto. A questo punto avete le principali coordinate del sorprendente e disturbante romanzo di Ioachim Zelter, dal titolo La scuola dei disoccupati (ed. Isbn, 186 pagine, 13 euro). L’atmosfera è vagamente orwelliana, da utopia negativa. A questa fantomatica Sphericon approdano centinaia di giovani e meno giovani, dai 25 ai 45 anni, ambosessi, il cui unico scopo nella vita è quello di trovare un lavoro, un posto qualsiasi, purché sicuro. Quali siano le loro vite precedenti non è chiaro, ma in fondo non è nemmeno importante. La loro nuova vita comincia di qui. Sveglia alle 6.30 e riposo alle 23.00; ma c’è anche chi non riposa mai, impegnato a limare e cesellare fino alla perfezione il proprio curruculum vitae. Il direttore e gli istruttori lo ripetono senza sosta: “Tutto il materiale biografico è autoinventato... Un curriculum vitae è una forma di letteratura applicata... Una candidatura azzeccata è come un bestseller: avvincente, trascinante, travolgente...Un’autostrada epica.” Attraverso prove e simulazioni e dunque attraverso dialoghi sbalorditivi, al limite del nonsense, l’autore ci trascina a poco a poco in un gorgo inesorabile. Quanto più il posto di lavoro è una chimera, tanto più per raggiungerlo bisogna vendere se stessi con forza e abilità sovrumane. Simulare, raschiare il fondo, proporsi al posto dei morti.
Dei due personaggi principali, Roland e Karla, il primo dimostra totale flessibilità alle regole di questo gioco perverso. Forse ce la farà e otterrà un lavoro. Karla, invece, decide di ribellarsi e addirittura di respingere preventivamente qualunque offerta. Sceglie l’inferno della disoccupazione. Ma può, un sistema così chiuso e totalitarlo, consentirglielo? E’ questa, in fondo, la grande domanda sollevata dal romanzo. Esiste oggi una definizione stessa dell’essere umano che possa prescindere da un suo ruolo sociale (vero o presunto), da un suo “posto” che altro non può essere che un posto di lavoro? O ha ragione il Sistema ad affermare che “la disoccupazione è intollerabile, contro natura, antisociale e disumana”? Tutti i regimi totalitari, comunismo in primis, sembrano temerla e minimizzarla con il ricorso massiccio a finti lavori, denominati con eufemismi buoni solo per compilare statistiche e appagare la burocrazia. L’essere umano ozioso è un pericolo, una scoria dell’ingranaggio sociale. Per lui/lei, semplicemente, non c’è posto.
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